
Matteo Della Bordella - Greenland

Nella scorsa estate Matteo Della Bordella è stato in Groenlandia, fra le montagne dell’estremo nord del mondo, per scalare una grande parete di roccia alta, piu di 1200 metri, su cui nessuno era mai salito prima di lui e dei suoi tre compagni Silvan Schupbach, Alex Gammeter e Symon Welfringer.
Come ormai è divenuta sua consuetudine, anche questa volta Matteo ha affrontato la sua avventura “by fair means”, con mezzi leali nei confronti della parete, affrontata dai quattro nello stile più leggero possibile, senza bucare la roccia per mettere gli spit e avvicinandosi l’obiettivo alpinistico riducendo al minimo l’utilizzo di mezzi motorizzati.
I quattro, infatti, hanno raggiunto la parete in completa autonomia, trasportando tutte le attrezzature e il cibo necessario a bordo dei loro kayak. Una modalità di spostamento a cui non sono nuovi, ma questa volta, racconta Matteo, l’avventura è stata davvero totale: “Dal villaggio di Tasiilaq un cacciatore ci ha accompagnato in barca fino al suo capanno, diverse decine di chilometri più a sud e da lì abbiamo cominciato a pagaiare in autonomia, lungo la costa. Abbiamo percorso circa 300 chilometri, per arrivare fino ad un vecchio avamposto di pesca, oggi abbandonato perché troppo remoto. Nel tragitto abbiamo dovuto affrontare condizioni che non avevo mai trovato prima: prima abbiamo rischiato di restare bloccati nel mare ancora troppo ghiacciato, poi siamo stati investiti da due tempeste, con venti fortissimi e onde alte fino a tre metri. Un’avventura davvero totale, senza margini di errore… un po’ come arrampicarsi in free solo su una grande parete”.
Una volta raggiunta la destinazione, dopo una decina di giorni di navigazione, è cominciata la parte più alpinistica del viaggio: “Ci siamo trovati di fronte ad una parete enorme e molto ripida, con un dislivello di almeno 1200 metri e subito abbiamo dovuto fare i conti con il tempo instabile che rappresenta una delle tante incognite che possono determinare il risultato di una spedizione a quelle latitudini. I nostri primi tre tentativi di salita, infatti, si sono interrotti dopo alcuni tiri a causa dell’arrivo della pioggia e della neve. Intanto il tempo passava e noi avevamo i giorni contati: non più di dieci per salire la via, tenendo conto delle riserve di cibo che dovevano bastarci anche per il rientro in kayak…”.
Poco prima della metà di agosto finalmente le previsioni meteorologiche sembrano buone. Matteo e compagni tornano in parete, ma, ancora una volta, le cose non vanno per il verso giusto: “Durante il tentativo siamo stati investiti dal Piteraq, il terribile vento che a volte si scatena in Groenlandia, senza alcuna possibilità di previsione. Le raffiche erano violentissime e facevano precipitare dalla parete diverse scariche di sassi. Una di queste ha danneggiato una delle corde fissate sui primi tiri che si è spezzata proprio mentre Symon stava risalendo. Per fortuna era ancora collegato a un’altra protezione e la caduta si è conclusa solo con un grande spavento, ma per quel giorno ne avevamo ormai abbastanza”.
Quando ormai le speranze di successo sembrano svanire le previsioni annunciano una nuova finestra di bel tempo: “Il 17 agosto abbiamo attaccato nuovamente e, finalmente, abbiamo potuto giocare tutte le nostre carte. La scalata si è rivelata davvero fantastica e non estrema, a parte una lunghezza di difficoltà attorno al 7b, da affrontare con protezioni molto precarie. Dopo due giorni di scalata e un bivacco in parete eravamo finalmente in vetta. Con un altro bivacco e un giorno di calate in doppia siamo tornati al campo base. Durante le notti trascorse in parete la Groenlandia ci ha regalato lo spettacolo di un’incredibile aurora boreale. Da qui il nome che abbiamo voluto dare alla nuova via: Odissea Borealis”.
Appena rientrati dalla salita i quattro scalatori hanno dovuto vestire nuovamente i panni del marinaio, rimettendosi sulla lunga strada del rientro in kajak: “Ormai avevamo superato il limite di tempo che ci eravamo dati per le riserve di cibo e, dopo alcuni giorni di navigazione, pur avendo percorso 150 chilometri a tappe forzate, le nostre riserve erano esaurite, quindi abbiamo deciso di farci venire a prendere da un’imbarcazione che ci ha riportato a Tasiilaq.
Come se questi 32 giorni di spedizione non fossero stati già abbastanza ricchi di emozioni, Matteo, Silvan, Alex e Symon nel loro viaggio hanno dovuto fare i conti anche con le visite di ospiti non proprio benvenuti: “Abbiamo incontrato ben quattro orsi polari, i primi tre erano molto timidi e si sono allontanati non appena ci hanno scorto. Il quarto, il più grande, bianchissimo e maestoso, era proprio desideroso di fare la nostra conoscenza e ci sono voluti tre o quattro colpi di fucile sparati in aria per convincerlo a fare dietro front…”.
Anche in questa nuova spedizione Matteo si è avvalso delle attrezzature tecniche messe a disposizione da Ferrino, rivelatesi perfettamente adatte alle severe condizioni di utilizzo, anche oltre le sue stesse aspettative: “Da piu di un anno sto lavorando con Ferrino allo sviluppo di nuovi prodotto ed è un processo esaltante e molto remunerativo da punto di vista personale e professionale. Di recente abbiamo appena sviluppato la tenda “Extreme” – la monotelo 4 stagioni più leggera al mondo –, dopo averla usata lo scorso inverno in Patagonia, avrei voluto portarla con me per metterla alla prova in Groenlandia. Tuttavia per questa spedizione avevo bisogno di una tenda doppio telo e non di una monotelo, così ho deciso di portare la Trivor 2, più adatta a una lunga permanenza, come la nostra, dove siamo stati isolati del resto del mondo per 35 giorni. La scelta si è rivelata azzeccatissima: durante una bufera siamo rimasti chiusi dentro per 60 ore di fila, con pioggia scrosciante e vento fortissimo e ne siamo usciti ancora asciutti! Un’altra bella sorpresa è stato il sacco a pelo Diable RDS 1100. Si è rivelato ottimo sotto l’aspetto del peso e della comprimibilità e particolarmente resistente all’umidità: spesso quando i sacchi dei miei compagni erano letteralmente da strizzare io ero ancora in condizioni confortevoli, inoltre è stato perfetto anche per i bivacchi in parete. Ovviamente con me avevo anche lo zaino Instinct, un compagno ormai super sperimentato. Alex ne aveva uno 45 litri ed io uno da 65, che si è rivelato comodissimo e prezioso per il trasporto dei materiali fin sotto la parete”.
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